Il dolore più grande: il cambiamento.

image

L’ho scritto spesso è mai mi stancherò di dirlo. Il dolore fisico é per convenzione il sintomo più temuto per chi affronta un percorso oncologico. Può esserlo benissimo, purtroppo, ove non esiste un adeguato servizio di cure palliative e terapia del dolore ma quando questa protezione esiste, credetemi, é proprio il dolore fisico che ci spaventa di meno poiché, salvo rari casi, anzi rarissimi, lo stesso viene ridotto a livelli accettabili o addirittura abolito.

Oggi voglio parlarvi del “dolore più grande”: il cambiamento. Pensate di essere in piena forma fisica e in piena autonomia sino a due o tre mesi prima del cambiamento. L’ho definito così poiché, nella vita di una persona che intraprende il percorso finale, la perdita di autonomia, anche nelle cose più semplici, é un dolore enorme. Scalini che diventano montagne, spostamenti di pochi metri che diventano chilometri, le gambe che non sono più le stesse, la forza che viene a mancare e, peggio del peggio, il dover dipendere da qualcun altro anche se si tratta di un tuo familiare. É un cambiamento abissale che ti porta a lottare, ad inveire, ad arrabbiarti con te stesso e con chi ti sta attorno, a chiederti perché? Molti miei pazienti sono contenti di non avere più dolore, vomito, tosse o comunque di riuscire a gestire tali sintomi quando compaiono. Ma come puoi gestire dentro te stesso un corpo che cambia, un corpo che non riconosci più, che arrivi a rifiutare poiché lo senti nemico. La stanchezza che prevale su tutto. La malattia che decide per te quando e cosa ti é possibile fare. Ecco questo per me é il cambiamento ed é il dolore più grande. É quella cosa che ti porta a dire ” non ce la faccio più “. E non ci sono parole che consolano, farmaci che ti aiutino (si utilizzano i cortisonici che possono anche dare una buona risposta, ma per quanto?). E allora che fare? Che dire? Io non ho una formula magica in tasca posso solo permettermi di suggerire che sono persone che non vanno lasciate sole, che vanno ascoltate, che il loro cambiamento va accolto quasi fosse anche un po’ il nostro cambiamento. Dovremmo essere noi, dovranno essere i familiari, gli amici, le persone vicine a misurare la giusta vicinanza. Una cosa é certa: possono esserci molti silenzi e molte risposte non date, ma la vicinanza e un abbraccio, spesso sono più terapeutici di qualsiasi medicina o terribile parola di circostanza.

Un abbraccio.

Cristian.

Quel dolore inutile.

image

Premetto, come ho già fatto molte volte, che il dolore di per se per me, é un termine molto riduttivo. Preferisco parlare di sofferenza, sia essa fisica,esistenziale, psichica o anche, perché no, organizzativa. Già, spesso senza che nemmeno ci facciamo caso ( o ancor peggio senza che i sanitari accolgano tale sintomo) subiamo della sofferenza gratuita. So di essere vagamente polemico, mi piace esserlo poiché ritengo che si debba sempre partire dal problema e non dal quanto siamo bravi. É di oggi la vicenda di una mia paziente che si reca in una grande struttura ospedaliera, certificata oltretutto come “Ospedale senza dolore” (sorrido amaramente). La suddetta deve sottoporsi ad un ciclo di medicazioni complesse a seguito di un grosso intervento demolitivo addominale. Ne esce distrutta. Dal dolore, dal non ascolto, dal non fermarsi al suo gridare “basta”. Ne esce distrutta poiché le viene ricordato più volte che dopo un intervento così “importante” eseguito da altrettanto “importanti luminari” é NORMALE che le medicazioni siano dolorose. Vi ricordo che siamo all’interno di una struttura che si certifica come Ospedale senza dolore. Mi chiedo: é mai possibile che nessuno pensi che basterebbe una terapia pre-medicazione per ridurre questa sofferenza? É mai possibile che un operatore sanitario si senta “stato capace di ascoltare il dolore” solo perché alla fine della manovra la macchina burocratica dell’Ospedale senza dolore chieda a lui di barrare un numero da 0 a 10 (scala valutazione dolore) ? Quanto siamo consapevoli della sofferenza inutile che dispensiamo ogni giorno, ripeto senza arrivare a parlare di patologie oncologiche (per fortuna ora abbastanza protette)?. É tutto il resto che mi spaventa. É la paura che proverà questa signora alla prossima medicazione. É il non ascolto. E quindi non venitemi a parlare di Ospedale senza dolore, che spesso assume a mio avviso uno slogan che serve a qualcuno per riempirsi la bocca e per dire, ancora, quanto siamo bravi. Certo. Chiedetelo a chi oggi ha subito l’Ospedale senza dolore quanto siamo bravi. E come sempre, chi non si sa difendere poiché pensa di essere in una condizione di inferiorità di fronte a camici bianchi di un certo livello, subisce.  Come diceva qualcuno, io non ci sto!

Cristian

 

Rosanna Lambertucci: E sono corsa da te.

image

“E sono corsa da te.”

Cinque parole. Un titolo che racchiude due anni di vita, di dolore, di speranze e di tanto amore. Quella corsa e, all’arrivo, la consapevolezza che nel corpo dell’uomo più importante nella vita di Rosanna Lambertucci qualcosa si era incrinato. Più di qualcosa. Quello sguardo pieno di paura e di perchè. E proprio da quella corsa tutto ha inizio. Un percorso lungo due anni, di nuovo insieme, nel dolore. Un percorso che Rosanna racconta parlando con Alberto, raccontando di Alberto, vivendo Alberto. La forza dell’amore che riempie questa donna di coraggio. Quel coraggio di tante donne, di tante storie, di tante famiglie che si trovano ad affrontare un percorso di malattia, insieme.
Un libro che consiglio a tutti poiché, forse con un po’ di presunzione, posso dire che é speculare al mio. Io ho raccontato storie vere. Rosanna ha avuto il coraggio di raccontare a tutti noi la sua storia. Per ultimo ma non meno importante la voglia di dire a tutti noi quanto siano importanti le cure di fine vita e le cure palliative domiciliari. Ed è anche per questo che ho amato da subito questo libro ed ho scoperto una Rosanna che non conoscevo ed è stata una bellissima sorpresa.
Ringrazio anche Rosanna per quella inaspettata e dolcissima telefonata.

Grazie!

Cristian

So che voglio continuare a vivere

diario di bordo

Come sapete, solitamente, é nella sezione “Murales” che pubblico tutte le vostre impressioni, emozioni, e tutto ciò che volete scrivere riempiendo la “pagina bianca” del mio libro. Questa volta é diverso e la mail che ho ricevuto oggi merita un po’ di più poiché é una vera testimonianza di quanto possa essere straordinario custodire storie come quelle che racconto nel libro.

Grazie Patrizia e un buon viaggio al grande Pierluigi

Ho terminato di leggere il libro di Cristian.
Sono le due e il silenzio della notte viene scosso dalla mia commozione; mi sento dentro ad ognuna delle persone descritte, raccontate.
Piango.
La mia bocca tace; nella mente si fa spazio una domanda:
“Non hai paura di morire Pierluigi?”
“Assolutamente no, mi dispiace solo di lasciarti sola. Ti raccomando i nostri figli e racconta del nonno ai nipoti.”
Instancabile, meticoloso, previdente mio marito è riuscito a predisporre tutto per sé e per le persone che continua ad amare.
“ E’ tutto in ordine, sono sereno. Ora il mio tempo è dedicato alla preghiera, preghiamo insieme.”
Poi io e i nostri figli lo abbiamo aiutato ad addormentarsi, convinti.
“Non possiamo pretendere che gestisca anche il dolore; ce ne facciamo carico interamente noi, suoi cari. A lui non dobbiamo chiedere di più.”
Siamo stati aiutati a prendere questa decisione da loro, gli angeli terreni che hanno preso per mano Pier e hanno percorso l’ultimo tratto della sua vita, insieme a lui, insieme a noi.
Sicuri nelle azioni non si risparmiano e, con delicatezza, si avvicinano alla persona che li ha chiamati per conoscerla, in primis, e poi darle l’aiuto che gli serve.
A volte diventano testimoni di pensieri tanto nascosti che nemmeno i protagonisti sapevano di saper avere e di riuscire ad esprimere.
Questi angeli terreni sono indispensabili.
Mi sento più forte, spengo la luce.


So che voglio continuare a vivere.

Patrizia