Cure Palliative: cosa porto a casa oggi?

 

Schaeffer-Kriegsgefangene

Venerdi 31 Gennaio 2014
Ore 21:49
Diario di bordo

Soffrire oggi, ricordando il passato.

Ettore è magro. Molto magro. Ogni giorno, sembrerebbe ogni ora, ancora più magro. Cachessia in termine tecnico. Lui molto semplicemente la chiama in un altro modo: “il mio campo di lavoro”. Già, perché Ettore ha vissuto i campi di lavoro in Germania e lui era fortunato, poiché potendo lavorare, veniva perlomeno nutrito quel poco che bastava. Ma la magrezza di chi era destinato a ben altra fine faceva da contorno alle sue giornate e soprattutto alle sue nottate. Il rumore dei denti che masticavano a vuoto durante la notte, nel sonno per la fame è un suono che non si dimentica. E che non si può descrivere.

Ettore non si pesa più. Accetta la malattia, ne è consapevole, ma quella magrezza lo riporta indietro nel tempo, in quel luogo, in quei mesi di fatica e di dolore. Non fosse per quel ricordo le ossa sporgenti darebbero meno fastidio ai suoi occhi che diventano lucidi ogni volta che uno specchio incontra quel corpo che non sente più suo, che nemmeno la malattia è riuscito a scalfire così profondamente come il ricordo buio di quel periodo che riemerge con dolore. Un malessere profondo, un legame con quei luoghi fatti solo di atrocità. Ettore non riesce più a guardarsi. Non vede la sua immagine nello specchio. Vede solo il dolore di chi, in quei giorni, dimagriva sempre di più sino a scomparire.

Perché in quei luoghi si era già morti prima di morire.

Cristian

2 thoughts on “Cure Palliative: cosa porto a casa oggi?

  1. Ciao mi chiamo enrico sono in collega anche io mi occupo di cure Palliative, vivo tutti giorni il dramma della morte, del senso di sfinimento che avverti nei parenti di un malato terminale. .. ciao e buon lavoro

    • Grazie Enrico per il tuo contributo. Spero ce ne saranno altri e se vorrai leggere il mio libro (in prossima uscita) mi farà molto piacere perché di cure palliative abbiamo bisogno di parlarne di più sia tra noi operatori ma soprattutto verso l’esterno.
      Un caro saluto.
      Cristian Riva

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