In ospedale: dall’altra parte per un giorno.

mani nelle mani

Dall’altra parte.

É l’augurio che faccio a qualche operatore sanitario, amministrativo e ausiliario operante in una struttura ospedaliera cosiddetta d’eccellenza.

Io ci sono stato per un giorno dall’altra parte, a tutto tondo, toccando con mano e osservando con gli occhi (spesso sbarrati dallo stupore) ciò che può succedere in un contesto complesso e difficile quale può essere una struttura ospedaliera. Sono stato paziente per un giorno, per la prima volta. Paziente? Che brutta parola!

Dall’altra parte ho intravisto personale sorridente, cortese, umano. Quell’umanità dettata non solo da una professionalità indossata con una divisa, ma diretta, vera e consapevole. Umanità che arriva ancor prima del ruolo poiché é parte di coloro che la possiedono a prescindere.

Ma dall’altra parte ho visto anche un nuovo me stesso. Lo specchio dell’arroganza e della maleducazione nel quale ti rifletti, col quale ti scontri e ti fai male (soprattutto la prima volta) fa di te non più una persona che si trova in un luogo dove ansie e paure ti accompagnano in ogni movimento, in ogni gesto o sinistro suono. No. Fa di te un numero, anzi un oggetto a forma di numero, ancor peggio un pezzo del sistema a forma di numero, con il quale quella divisa bianca o blu che sia é costretta a interagire meccanicamente, a tratti palesemente controvoglia, stanca di una domanda in più o stupita di dover colloquiare non solo con l’organo (il pezzo) malato, ma con una persona. Nell’ingranaggio (il loro) perfettamente oliato proprio per quella richiesta in più -“scusi dove devo andare che non ho capito?”- ; “- posso sapere il suo nome Dottore?”- si inceppa quel meccanismo per il quale il numero che é davanti a loro, quella cosa che gira con un foglio in mano alla ricerca di una meta spesso difficile da raggiungere, non può essere autorizzata a chiedere oltre ad una prestazione codificata dal sistema. Non é codificata la prestazione della gentile risposta o dell’esaustiva e pacata spiegazione. Tutto deve correre più veloce possibile, che importa se davanti a loro il pezzo ha 40 o 90 anni. La velocità é la loro. Ogni nostro errore o richiesta, rallenta la macchina da guerra e innervosisce, a domino, ogni ingranaggio. Eppure guardandoli bene, nonostante camminino come robot lungo corridoi anonimi e per certi aspetti alieni, sono uguali a noi. Due gambe, due braccia, due occhi, ect…. Uguali a noi ma per me diversi. Tu li sei numero, sei una chiamata. Attenzione: debolezze e ansie non previste, anzi pure criticate. -” un giovanotto come lei, per favore”-. Uguali a noi ma capaci di lasciarti senza parole -” scusi ma lei che é venuto a fare da me?”-.

Io dall’altra parte vorrei ognuno di loro, per un giorno. Vorrei che si specchiassero e vedessero solamente un oggetto a forma di numero. Mi piacerebbe pure fossero un po’ in ansia poiché di salute si tratta e, si sa, tutti ci si preoccupa quando qualcosa al nostro interno non va. Ma dall’altra parte, quel giorno, in una sorta di “giochiamo ad invertirci i ruoli” vorrei vedere tutte quelle persone disperate che ho visto cercare invano una porta, una via di uscita, un corridoio e una lettera, una sala d’attesa, una sedia a rotelle, un conforto, un abbraccio.

C’é anche tanta bellezza nei sorrisi di chi é li non solo per mestiere ma anche per passione. Peccato che certe figure hanno la capacità di cancellarti pure le risate. Eh si, cari Signori, in Ospedale si può anche sorridere e confortare. Non c’é eccellenza vera se quell’ingranaggio, ogni tanto, possa godere anche di accoglienza e non solo di sterile perfezione.
(Che perfezione non é).

Cristian

6 thoughts on “In ospedale: dall’altra parte per un giorno.

  1. Sai io negli ospedali ho passato parecchio tempo, per vari motivi. Da paziente.
    Ho visitato diverse strutture (nomi ? HSR, Humanitas, Niguarda, Pini, etc), ma di vera scortesia non ne ho mai incontrata, anzi. Il fatto è che fanno un lavoro molto difficile, a contatto con un mondo di gente dalle esigenze più disparate e disperate, non sempre facili da gestire. E a volte questo manda in crisi. Tutti. Noi pazienti abbiamo la pretesa, giusta o meno che sia, di essere considerati sempre i primi, perché percepiamo il nostro disagio come il più grave e prioritario che ci sia, ma non è sempre così. Ci dimentichiamo quando siamo lì di guardarci attorno. E loro lo fanno. Certamente non tutto funziona bene, a volte ho trovato certe “persone” col camice che avrebbero potuto fare benissimo un altro mestiere, oppure li avrei mandati volentieri io a farlo, ma sono casi.
    C’è anche da dire una cosa: se vai con il SSN hai un tipo di trattamento, se vai in privato ne hai un altro e se vai tramite un’associazione, una convenzione etc ne hai un altro ancora più privilegiato. Ma questo è l’Italia…

    • Grazie caro Cesare per il tuo contributo. So bene come funzionano le cose all’interno, ho lavorato per 11 anni in una struttura ospedaliera e non é facile poiché spesso le condizioni di lavoro sono veramente al limite. Quello che però non riesco a giustificare é il comportamento. Essere educati non ti fa perdere tempo. Essere scortesi nemmeno. In mezzo a mille difficoltà che, ripeto, conosco e comprendo non costa nulla essere comunque cortesi e allo stesso tempo “efficaci”.
      Un abbraccio e auguri per tutto.
      Grazie.

      Cristian

  2. il suo post , pur bello, trasuda paura, paura di trovarsi dall’altra parte, ma anche di essere giudicato…naturalmente io non essendo medico non mi troverò mai dalla sua parte e credo che quello che lei cerca : gentilezza, comprensione…io la cerchi in ogni ufficio dove vado a fare una richiesta: Asl, poste, uffici vari…l’arroganza può essere la stessa ed è quella che nasce dal potere piuttosto che dalla malattia curata o dall’attesa di una cura …il potere è quello che viene messo in discussione oggi e del potere abbiamo paura. Dico abbiamo perchè anche il “Paziente” lo sperimenta: il potere di chi da un lato soffre, ma dall’altro pretende. Io le auguro di trovare l’Equilibrio giusto, da medico non può abbandonare la sua autorità seppur umile e comprensiva; da paziente ha il diritto di chiedere aiuto e sperare le venga dato con onestà. Grazie di avermi permesso questa riflessione. P

    • Grazie Paola per il suo contributo e soprattutto per l’augurio.
      Buone cose.
      Un abbraccio.

      Cristian

      Ps non sono medico ma infermiere

  3. A volte basta semplicemente la cortesia verso il prossimo, basta solo dare una risposta ad una semplice domanda che viene fatta.
    Poco importa se siamo alle poste, al supermercato, in ospedale o in qualsiasi altro posto, e’ la mancanza di rispetto che manca indipendentemente se uno e’ indaffarato o stressato.
    Costa troppo un sorriso? “E chi te lo ha chiesto?” Volevo solo una
    risposta, magari educata.
    Sono convinta che le belle.persone esistono

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