Cancro e confetti. Una storia da raccontare.

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G. ha il Cancro. Lo sa. É un mio paziente ma inevitabilmente é diventato un grande amico e lo sarà sempre.

Ho conosciuto G. circa 3 anni fa, all’inizio del suo percorso di malattia. Dovete pensare che 3 anni, per chi si occupa di fine vita sono tanti in termini di “percorso assistenziale”. La fortuna di un così lungo periodo nasce da una banalità, una semplice medicazione settimanale ad un catetere venoso centrale con i prelievi ematici che servivano prima di ogni chemioterapia. Il tutto per far si che G., vedovo da molti anni e con un solo figlio su cui contare, potesse evitare inutili viaggi in ospedale che si riducevano solo al giorno della terapia. É stato facile diventare amici, si Amici poiché G. era un uomo semplice, un concentrato di bontà e ingenuità da bambino, quell’ingenuità delle persone buone nonostante la vita con lui non sia stata certo generosa. Tutt’altro. In questi tre anni il mio amico ha lottato in silenzio, senza mai far pesare a nessuno, soprattutto al figlio, i momenti difficili di un percorso minato di rabbia, dolore interiore, delusioni e illusioni. G. ha vissuto bene fino a pochi giorni fa e poi il cancro ha preso il comando. Ma nonostante tutto la dignità di questo piccolo grande uomo ha fatto sì che la morte stessa, sopraggiunta questa sera, sia arrivata quasi come una carezza. Non c’é stato bisogno di grandi interventi terapeutici, G. si é affidato a quella luce riflessa negli occhi del figlio, a quella luce che sicuramente sperava di ritrovare chissà dove negli occhi dell’amata moglie e alla nostra amicizia.
Vi racconto questo aneddoto che per me é stato ed é uno dei più grandi regali che la mia professione abbia potuto donarmi. Qualche giorno fa, entrando in casa, noto sul tavolo dei confetti (io ne vado matto) che ovviamente mi vengono offerti. Provenivano da una qualche cerimonia. Il giorno dopo mi ritrovo un vassoio stracolmo di altrettanti confetti. “Caspita” – dico a G. che ancora riusciva a mangiare – “sei proprio un golosone come me!”. Con quel poco di voce, ma con quella luce negli occhi mai mancata mi dice ” a me non piacciono, mio figlio non li mangia, sono tutti per te. Li lasciamo qui, almeno quando vieni mangi qualcosa (gli accessi erano da tempo diventati quotidiani e G. sapeva che il pranzo con i miei ritmi non esiste). Un gesto già allora di grande generosità, in un contesto dove non certo regnava ricchezza materiale ma tantissima ricchezza interiore.
G. si aggrava in questi ultimi giorni e lascia il corpo poco fa, serenamente, come una farfalla che non fa rumore, ma con un battito d’ali che ha liberato serenità e amore.
E poco fa ricevo il regalo più grande che G. potesse farmi. Parlando al telefono con il figlio che mi comunicava la morte del padre, con la stessa semplicità e dolcezza che nessuna laurea, nessun bel vestito, nessuna ricchezza materiale ti può insegnare mi dice “ehi, io domani ti aspetto comunque, poiché sappi che quei confetti sono tuoi e solo tuoi come papà voleva”.
Si, parliamo di confetti bianchi e rossi che domani andrò a prendere come una sorta di lascito di tutti i nostri discorsi tra me e G. in questi tre anni. Grazie G., amico mio, hai saputo sorprendermi ancora. La tua luce brilla ancora. La tua luce piena di umiltà, di saggezza e di grandissima generosità. E hai vinto. Hai combattuto il cancro con dignità, con semplicità, con dei confetti colorati.

Il tuo amico Cristian.

Festa internazionale dell’infermiere

Festa Internazionale dell’Infermiere. Lecco,12 Maggio 2017 c/o “La Casa Sul Pozzo”

Locandina Evento

Potrei scrivere molto rispetto a questo incontro, tenutosi grazie all’invito del Collegio Ipasvi di Lecco, in occasione della Festa Internazionale dell’infermiere, il 12 Maggio 2017. Invece voglio solo dire Grazie!

Grazie al Direttivo Ipasvi di Lecco per l’idea di unire festa e cultura (perchè anche gli infermieri scrivono libri!) e soprattutto all’instancabile Fabio Fedeli

Grazie ai numerosi partecipanti!

Grazie alla collega Laura Binello che è riuscita, con il suo Panda Rei, a trasmettermi nuove emozioni.

Grazie alla giornalista Katia Sala per la sua sensibilità e professionalità.

Grazie all’accoglienza e all’ottima cucina de “La Casa Sul Pozzo” di Lecco

Grazie alla pioggia che ha reso, a mio avviso, ancora più calda la serata.

Un po’ di foto e un paio di filmati per ricordare che quando siamo uniti possiamo veramente realizzare grandi cose.

Un abbraccio.

Cristian

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Una storia vera…

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Condivido con piacere l’appello del Sig. Bonavoglia poiché lui stesso mi ha autorizzato a farlo e conosco personalmente la sua storia.

Ennio Bonavoglia

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Sono un malato terminale di adenocarcinoma polmonare destro. Praticamente io dico che quella BESTIA di tumore che vuole farmi l’ultima chiamata per l’ultimo viaggio senza ritorno, resterà deluso.Dal 96 convivo anche con un cuore infartuato.Certo che al pronto soccorso degli ospedali, sono molto premurosi, attenti e scrupolosi.Sono seguito dalla Unità Operativa per le Cure Palliative anche a domicilio, devo dire onestamente, con molto impegno, scrupolo e tutte le attenzioni.Il giorno 18/02/ 2016 alle ore 23,40 a casa ebbi una crisi tremenda, dolori insopportabili e non riuscivo a respirare neanche con l’ossigeno a 3 /4, cosi chiamai l’emergenza e mi portarono in ospedale al Pronto soccorso dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo.Riuscii a dire che secondo me era la morfina che mi somministravano, la causa di quegli effetti. Poi io non capii più niente. Non so quanto tempo dopo, mi svegliai ed ero seduto in un letto posto al centro di una grande stanza vuota: C’ero solo io ed in cima una infermiera o dottoressa seduta alla scrivania a fare chissà cosa, ma certamente ignorando completamente me. Avevo la gola asciutta, tanto da non riuscire a muovere neanche la lingua, non riuscivo a parlare gridare od altro, non c’erano campanelli:::: insomma non c’erano mezzi per attirare l’attenzione di qualcuno. girando gli occhi, l’unica cosa che riuscii a vedere fu un foglio di carta poggiato sulla mia pancia,era la lettera di dimissioni, sulla quale c’era scritto ” MALATO TERMINALE”. Così capii che aspettavano che smettessi di respirare. Ma io ero e sono ancora VIVO. Riuscii a farmi sentire entrarono i miei e mi feci abbeverare, masticare una caramella riprendermi e tornai a casa. Qui ho ricominciato a curarmi, sempre sotto vigilanza medica, ma anche con aggiunta di una terapia a base di erbe particolari che francamente mi fanno stare bene, vivo bene, mangio con appetito e tanto gusto che non provavo da anni, sono aumentato anche di peso e tutto in generale mi sento meglio. E’ stato sempre sperimentato sia negli affari che nelle gioie e soprattutto nei dolori ( Ne sono esempio i gruppi di preghiere) se tante persone si impegnano a raggiungere determinati scopi insieme si riesce meglio. A tale scopo, voglio provare a formare un gruppo di persone con lo stesso problema, nel nostro caso ammalati di cancro al polmone scambiarsi informazioni esperienze ed altro e provare a cambiare le cose. Provare non costa niente, conoscersi neanche, perchè non tentare? Tanto cosa abbiamo da perdere? A me hanno detto MALATO TERMINALE ed io voglio farli aspettare il più possibile. Cerco pertanto persone ammalate di Bergamo e provincia o loro parenti che li informino, per chiacchierare ed approfondire l’argomento. Questo è il mio recapito – [email protected] all’occorrenza posso fornire anche il mio recapito telefonico.
Morirò anche io ma sono certo che non sarà questa questa BESTIA : Se qualcuno vuole prestarsi a realizzare questo progetto, gli sarò grato tantissimo sia io che tutti quelli che riusciremo a trarne benefici sia fisici che morali.
Grazie e a risentirci……..Spero.

Per chi avesse aiuto da offrire o volesse ulteriori informazioni può cliccare il link in alto alla pagina Facebook oppure scrivere alla mail contenuta nel post.

Grazie.

Cristian

Il dolore più grande: il cambiamento.

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L’ho scritto spesso è mai mi stancherò di dirlo. Il dolore fisico é per convenzione il sintomo più temuto per chi affronta un percorso oncologico. Può esserlo benissimo, purtroppo, ove non esiste un adeguato servizio di cure palliative e terapia del dolore ma quando questa protezione esiste, credetemi, é proprio il dolore fisico che ci spaventa di meno poiché, salvo rari casi, anzi rarissimi, lo stesso viene ridotto a livelli accettabili o addirittura abolito.

Oggi voglio parlarvi del “dolore più grande”: il cambiamento. Pensate di essere in piena forma fisica e in piena autonomia sino a due o tre mesi prima del cambiamento. L’ho definito così poiché, nella vita di una persona che intraprende il percorso finale, la perdita di autonomia, anche nelle cose più semplici, é un dolore enorme. Scalini che diventano montagne, spostamenti di pochi metri che diventano chilometri, le gambe che non sono più le stesse, la forza che viene a mancare e, peggio del peggio, il dover dipendere da qualcun altro anche se si tratta di un tuo familiare. É un cambiamento abissale che ti porta a lottare, ad inveire, ad arrabbiarti con te stesso e con chi ti sta attorno, a chiederti perché? Molti miei pazienti sono contenti di non avere più dolore, vomito, tosse o comunque di riuscire a gestire tali sintomi quando compaiono. Ma come puoi gestire dentro te stesso un corpo che cambia, un corpo che non riconosci più, che arrivi a rifiutare poiché lo senti nemico. La stanchezza che prevale su tutto. La malattia che decide per te quando e cosa ti é possibile fare. Ecco questo per me é il cambiamento ed é il dolore più grande. É quella cosa che ti porta a dire ” non ce la faccio più “. E non ci sono parole che consolano, farmaci che ti aiutino (si utilizzano i cortisonici che possono anche dare una buona risposta, ma per quanto?). E allora che fare? Che dire? Io non ho una formula magica in tasca posso solo permettermi di suggerire che sono persone che non vanno lasciate sole, che vanno ascoltate, che il loro cambiamento va accolto quasi fosse anche un po’ il nostro cambiamento. Dovremmo essere noi, dovranno essere i familiari, gli amici, le persone vicine a misurare la giusta vicinanza. Una cosa é certa: possono esserci molti silenzi e molte risposte non date, ma la vicinanza e un abbraccio, spesso sono più terapeutici di qualsiasi medicina o terribile parola di circostanza.

Un abbraccio.

Cristian.