Sedazione palliativa terminale: questa sconosciuta.

Marina Ripa di Meana con i suoi cani (Fonte: Ansa)

Sedazione palliativa terminale: ancora una volta la necessità di informare e fare chiarezza.

La scomparsa di Marina Ripa di Meana con il suo generoso appello a tutti i malati terminali ha, ancora una volta, fatto emergere quanto ci sia bisogno di informazione in ambito palliativo e di fine vita. Ho letto post di persone meravigliate, allibite di fronte alla possibilità di praticare la terapia sedativa in condizioni di terminalità. “Ma in Italia si può?”. Di per sé la domanda già nasconde la netta confusione : sedazione palliativa non significa eutanasia. É un atto terapeutico dovuto che non procura la morte del paziente, nemmeno la anticipa (per esperienza a volte prolunga la vita di qualche giorno, poiché é come togliere dai carboni ardenti una persona a piedi scalzi). L’esempio che ho fatto mio e che spesso propongo nella mia quotidianità é il seguente: é come se il vostro caro stesse cadendo da un grattacielo. La caduta non la possiamo fermare, ma venti materassi “all’atterraggio” dobbiamo metterli onde evitare lo schianto sull’asfalto. Mi si chiedeva oggi chi sceglie quando attuare la sedazione, a chi spetta il compito di decidere. Cercherò di essere il più esaustivo possibile premettendo che ogni situazione é diversa dalle altre, ogni porta che varchi ti apre mondi (e difficoltà) totalmente differenti. Può essere il paziente a decidere, a priori, la sedazione palliativa (a priori intendo che concorda già con noi tale terapia nel momento in cui lo stesso sarà invaso da sintomi  inaccettabili e refrattari alla fine della vita.) Non é quasi mai il dolore fisico che porta la persona a scegliere di essere sedata poiché il sintomo dolore é spesso l’ultimo dei nostri problemi anche grazie alle molteplici possibilità che la farmacologia odierna ci mette a disposizione, grazie all’utilizzo di farmaci oppiacei e non in combinazione con altre molecole in base alla sede,alla tipologia,al comportamento, all’ascolto del paziente (la descrizione del dolore é fondamentale). Formulazioni a rapidissima azione anche per il breakthrough pain (BTcP, ovvero episodi di dolore episodico ma molto intenso) somministrabili a livello sublinguale, o sottoforma di spray nasale arrivando persino a compresse “a bastoncino” da applicare attraverso la mucosa della cavità orale (quest’ultima formulazione permette al paziente di interrompere la somministrazione del farmaco, a sintomo risolto, ancor prima di aver raggiunto l’intera dose della compressa, semplicemente interrompendo il contatto con la mucosa orale).

Invece altri sintomi quali una stanchezza inimmaginabile (é uno degli esempi ma ne potrei citare a decine) che rende la persona dipendente in tutte le attività della vita quotidiana può essere già una condizione di tale stress psicofisico e di angoscia refrattaria ad ogni terapia (in condizioni di terminalità) che pone  assolutamene l’indicazione alla terapia sedativa. Così come l’avere troppa paura, un’angoscia che diventa invivibile,  incontrollabile, ect…
Il paziente é il nostro faro guida. D’altronde noi siamo li per lui e non faremmo cure palliative se non assecondassimo le sue richieste, ove lo stesso alla fine della vita potrà essere invaso da tale e tanta sofferenza da non essere piú gestita con i farmaci di supporto tradizionali o sintomatici . Ove il paziente non é a conoscenza della sua condizione (spesso si apprende la diagnosi ma non la prognosi e in molte persone, nonostante l’evidenza, scatta un meccanismo di negazione che li protegge da una realtà troppo dura) é il sintomo o più sintomi refrattari che decidono per noi. Ad esempio una dispnea non più trattabile (difficoltà respiratoria) andrà sempre gestita sedando il soggetto onde evitare che la morte con sensazione di soffocamento si presenti in condizioni di vigilanza.

Il nostro obiettivo é la qualità di vita prima e di morte poi, che devono essere assolutamente dignitose. Ovviamente per raggiungere un alleanza terapeutica tale (anche con i familiari) l’attivazione delle cure palliative domiciliari (io lavoro da 15 anni solo a domicilio) dovrà essere il più precoce possibile cosicché si costruisca insieme un percorso di alleanza terapeutica con e per il paziente che, ripeto, decide per se stesso se é nelle condizioni di farlo (consapevolezza o condizioni psicofisiche); se non lo fosse più ma ha già concordato con noi precedentemente la sedazione in determinate condizioni (sintomi refrattari) é nostro obbligo clinico, etico e giuridico mantenere il suo mandato. Ove non c’é consapevolezza alcuna e nessun consenso sarà sempre il sintomo refrattario che ci guiderà poiché mai e poi mai un mio paziente é morto tra atroci sofferenze, altrimenti vorrebbe dire non fare cure palliative ma altro. Il tutto accompagnato da un grande lavoro relazionale, educativo e di supporto alla famiglia.

É doveroso precisare che la recente approvazione  (finalmente!) della Legge sul Testamento Biologico punta ad affermare due principi fondamentali. Il primo: nessun trattamento può essere praticato al paziente se questi non è consenziente, dunque il malato è libero di rifiutare o accettare qualsiasi tipo di procedimento, compresa la nutrizione e idratazione artificiale. Il secondo: il paziente può rifiutare o accettare in anticipo i trattamenti che gli verranno somministrati in fase terminale, nominando fin da subito un fiduciario o un amministratore di sostegno.

Le Cure palliative, che grazie alla legge 38 del 2010 vengono garantite (dovrebbero perlomeno, ma purtroppo la realtà è un po’ diversa dalla normativa) a tutti i cittadini, di qualsiasi età, invece rientrano già a pieno titolo nei LEA (livelli essenziali di assistenza).

Ecco perché “Una legge ad hoc sulla sedazione non avrebbe senso, semplicemente perché si tratta di una delle tante procedure curative che si utilizzano nella fase avanzata e terminale di una malattia. Ci sono diversi documenti delle società scientifiche internazionali, del Comitato nazionale per la bioetica e della stessa Società Italiana di Cure Palliative, che affermano la liceità etica della sedazione palliativa, chiarendo una volta per tutte che si tratta di una terapia lontanissima dall’eutanasia.” ( Dr. Luciano Orsi – Società Italiana di Cure palliative -)

Grazie Marina, il tuo appello servirà a molte persone, perlomeno ad incuriosirle e di conseguenza ad approfondire l’argomento.

Cristian

5 thoughts on “Sedazione palliativa terminale: questa sconosciuta.

  1. Grazie Cristian, un’informazione fondamentale in questo marasma di notizie approssimative.
    Ci puoi dire per favore se la sedazione palliativa è coperta dal Servizio Sanitario Nazionale ? Deve essere concordata col proprio Medico di Famiglia ? Grazie mille

    • Le cure palliative domiciliari (parlo di Regione Lombardia) sono totalmente a carico del Servizio Sanitario Regionale. Il Medico di assistenza primaria é uno degli attori che può attivare il servizio (solitamente é lui nella maggior parte dei casi, anche telefonicamente se ci fosse un’urgenza). Il percorso di cura, compresa la spt (sedazione palliativa terminale) é concordata sempre (ove possibile) con il paziente, o come ho scritto nel post se ciò non é possibile (e non abbiamo raccolto un consenso da parte del paziente nei giorni/mesi antecedenti) il nostro obbiettivo rimane il benessere psicofisico del malato, in questo caso garantire allo stesso una morte dignitosa. Allora ci muoviamo in base al sintomo che se diventa refrattario o inaccettabile in condizioni di terminalità attuiamo la terapia sedativa. Coinvolgimento massimo della famiglia e costruzione anche con loro di un’alleanza terapeutica. Il medico di assistenza primaria é parte integrante dell’equipe ma spesso é assente poiché preferisce delegare a noi, é assente poiché lo é sempre stato, é presente e partecipa attivamente al percorso di cura oppure (per fortuna sono pochissimi) é presente e ci mette un po’ i “bastoni tra le ruote”. Ma poco importa nel momento in cui il paziente ha deciso cosa fare per sé stesso oppure abbiamo costruito un’alleanza terapeutica efficace con la famiglia in funzione del benessere e della cosa migliore da fare per l’ammalato che resta il nostro faro guida sin dall’inizio.
      Grazie.
      Cristian

  2. Ho conosciuto le cure palliative e la sedazione terminale per esperienza diretta accompagnando mia mamma negli ultimi mesi della sua vita. Per noi familiari sono state una grande opportunità per vivere a casa nostra, insieme, questa importante esperienza di vita e, supportati, viverla senza in prima persona. Alla sedazione profonda (“vuole dormire?” le chiese il medico dopo settimane di disperazione) acconsentì mamma, noi presenti. E su questo mi sento di dissentire su un aspetto, su cui non esprimo alcun giudizio: che la sedazione terminale non acceleri la morte. Il malato a casa, questa è la mia esperienza e questo mi è stato spiegato dall’équipe medica, non viene trattato con flebo, né nutrito né idratato dunque. In queste condizioni credo che un corpo possa vivere pochi giorni e mia madre morì serenamente 48 dopo che l’avvio della sedazione.

    • Cara Barbara, innanzitutto grazie per aver raccontato la sua esperienza. Come ho scritto nel post ogni caso é un caso a se, la stessa malattia si comporta in maniera diversa su soggetti identici. Ho avuto persone in fase avanzata di malattia, completamente asintomatiche, per cui non erano necessari aiuti farmacologici che non hanno ne mangiato ne bevuto (rifiutando loro stessi un’idratazione di supporto) vissute per oltre 40 giorni (tutto documentato). L’idratazione alla fine della vita oltre ad essere un’arma a doppio taglio (non si soddisfa il bisogno primario del paziente che é quello di non farlo soffrire) può, nella maggior parte dei casi, procurare edema polmonare (acqua nei polmoni) che accellerrebbero la morte ed,oltretutto, pur essendo il soggetto sedato e quindi non provare la sensazione di soffocamento, mi creda, per i familiari rimarrebbe un ricordo bruttissimo. Secrezioni che fuoriescono dalla bocca, gorgoglìo continuo,… Resta più un pensiero nostro il credere che si stia facendo morire di fame e di sete il nostro caro. Ma siamo alla fine della vita, ed un’alimentazione forzata oltre a procurare ciò che ho detto sopra sforerebbe nel campo dell’accanimento terapeutico poiché, ripeto, il bisogno principe in quel momento é garantire dignità alla morte evitando anche tecniche invasive, se pur minime. Così come ho avuto pazienti in sedazione palliativa per oltre dieci/dodici giorni. Il tempo non é dettato dal nostro fare o non fare determinate cose ma ciò che conta é la QUALITA’ del tempo rimasto, non la quantità. Quando addormentai mio padre, all’improvviso, per una crisi respiratoria bruttissima con edema polmonare (aveva bevuto tanto sino al giorno prima, ecco perché) é morto nel sonno serenamente dopo 9 giorni. Se non lo avessi fatto tutto lo stress fisico (cardiaco) e psicologico lo avrebbero ucciso prima e soprattutto male. Non voglio convincerla di nulla, anzi la ringrazio per lo spunto che mi offre, credo sia importante acquisire un concetto superiore, nobile che va oltre il tempo, a ciò che vorremmo (una flebo attaccata chissà perché ci rassicura sempre); il concetto nobile é garantire un buon trampolino di lancio, senza che il nostro caro si sfracelli al suolo. Raramente (facendo firmare la cartella clinica ai familiari) ho idratato un paziente alla fine della vita (in sedazione) e puntualmente dopo poche ore gli stessi mi pregavano di interrompere la flebo poiché mani e piedi si stavano gonfiando e un rantolo sempre più forte era un rumore insopportabile da sentire. É chiaro che va visto tutto sotto un’altra ottica: un edema polmonare lo tratti principalmente con diuretici ad alte dosi ma non quando siamo alla fine della vita poiché, ripeto, il nobile e sacrosanto obiettivo del nostro lavoro é rendere il più dignitosa possibile la vita prima e soprattutto la morte poi. La ringrazio nuovamente per aver condiviso la sua esperienza e spero solo che lei non pensi che se ci fosse stata una flebo attaccata le cose sarebbero andate diversamente. In ogni caso ha tutta la mia comprensione poiché sono percorsi difficili nei quali va raggiunta un’alleanza terapeutica tale da poter condividere ogni singolo gesto che deve essere esclusivamente in funzione della dignità del nostro caro. Grazie di nuovo Barbara é bello poter condividere, ascoltare, confrontarsi con serenità. Le auguro buone cose e un sereno 2018.
      Cristian Riva

    • Mi permetto di aggiungere, a supporto di ciò che le ho scritto prima, un passaggio fondamentale redatto dalla Sicp (Società Italiana Cure Palliative) in merito all’appropiatezza o meno di idratazione e nutrizione alla fine della vita:

      “Come abbiamo già avuto modo di ribadire in precedenza, obbligare i nostri malati, che si avviano verso il termine della vita,soprattutto se già in sedazione palliativa terminale, in cui naturalmente il corpo della persona non chiede più acqua e cibo, a trattamenti che di fatto non aiutano a vivere meglio, ma paradossalmente possono portare a delle effettive complicanze e disagi,(edema polmonare, edemi declivi, aumento delle secrezioni bronchiali) non rientra fra i nostri doveri clinici ed etici. In scienza e coscienza.”
      (Fonte Sicp)

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